The conductor’s madeleine: i direttori di coro si raccontano

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La madeleine, piccolo dolcetto francese a forma di conchiglia, deve gran parte della sua fama a Proust: infatti, è proprio addentandone una che il narratore de “Dalla parte di Swann” (primo volume della grande opera “Alla ricerca del tempo perduto“) inizia un viaggio nella memoria e, in definitiva, in se stesso. Ecco, quello che vorremo fare con questa nuova rubrica è proprio offrire una madeleine ai direttori di coro, affinché ci parlino di come è nata la loro passione per il canto di insieme e cosa questo significhi per le vite di chi incontrano, a partire dalla propria. Chi meglio di loro, artefici spesso nascosti della magia che nasce nell’unire le voci di tanti, può infatti raccontare a chi ci legge quanto questa meraviglia sia alla portata di tutti? Per questo noi di Koral abbiamo deciso di dargli spazio. Voce. E una madeleine.


Inaugura la rubrica Carlo Rinaldi, ingegnere, direttore di coro, innamorato del Gospel.

Carlo Rinaldi, giovane direttore di coro.

Carlo Rinaldi, giovane direttore di coro.

“Ingegneria e Musica. Cosa ci sarà mai in comune? In tanti potrebbero dire, certo la musica è matematica, ovvio. Io credo che non ci sia nulla di ovvio in ogni cammino o esperienza, e proverò a raccontarvelo.

Il mio primo passo in questa direzione l’ho fatto a 4 anni, quando i miei nonni e i miei genitori hanno chiesto a un insegnante di musica del mio paese d’origine in Puglia di “iniziarmi” alla fisarmonica. Nessuno in famiglia era musicista ma mio nonno aveva una fisarmonica e il desiderio che qualcuno potesse suonarla meglio di lui che purtroppo non aveva potuto studiare musica.

Quando andavo a lezione, mi avvicinavo sempre a una tastiera che c’era nel garage dove questo “zio” insegnava e avevo manifestato chiaramente che la fisarmonica non mi piacesse come strumento. E quindi, si decide di cambiare ma lo strumento questa volta è… la chitarra.

Con grande determinazione, lezione dopo lezione, continuavo ad avvicinarmi a quella tastiera e poco dopo riuscii a convincere tutti che il mio desiderio era imparare a suonare il pianoforte.

Ricordo ancora quando lo portarono su per le scale, pesantissimo, aggrappato a delle corde. Mi svegliavo di notte, aprivo il coperchio e toccavo i tasti per vedere se fosse vero o solo un sogno di un piccolo bambino. Da lì l’arte non mi ha più lasciato un solo istante.

Cominciati gli studi privati, poi il conservatorio, e gli studi professionali di perfezionamento.

“Dirigevo” in una sala-studio dei miei genitori, divani bianchi e la penna a inchiostro di mio papà, professore di matematica. Un bel giorno, mentre stavo dirigendo sempre ad occhi chiusi, il tappo saltò e quando aprii gli occhi trovai tutta la stanza, le pareti e i divani pieni di inchiostro blue.

Un disastro che mi costò la punizione di non poter più entrare in quella stanza per qualche giorno e una grande lezione di responsabilità.

Dopo la Puglia, il ritorno nella terra che mi aveva visto nascere, la Lombardia e l’iscrizione al Politecnico di Milano e ai Corsi Superiori Sperimentali del Conservatorio Verdi di Milano.

Avevo scelto ingegneria nonostante la mia forte passione per l’astrofisica. Infatti un giorno mia nonna mi disse: non vorrai mica vedere le stelle anziché lavorare? Perché non fai l’ingegnere?

E scelsi Como, una città magica dove nacque uno dei primi progetti corali, dopo un concorso musicale che avevo vinto per scrittore di testi. Il gruppo era nato in occasione del Giubileo del 2000 voluto da Papa Wojtyła e si chiamava Sentinelle note. Poco dopo, mi sono iscritto alla Hope Music School, una eccellente accademia musicale a Roma dove insegnano composizione e scrittura autoriale e dove ho conosciuto artisti contemporanei che mi hanno insegnato a mettere sempre tutto in discussione e a scomporre, tassello dopo tassello ogni respiro di un brano o di un arrangiamento musicale.

Nel 2004 ho fondato e diretto per una decina d’anni il Coro Gospel del Politecnico di Milano, una fra le esperienze più bella della mia vita e che continua ancora oggi con un gruppo che ha voluto fare della vocalità il suo credo, il Sankofa Gospel Ensemble di Milano.

I tasselli si mischiano poi si incastrano, e leggendoli con la prospettiva del momento questa parola, “Sankofa” – che significa “ritornare al passato per andare verso il futuro”, la scopro per la prima volta da un brano musicale che mi piaceva molto all’epoca di Cassandra Wilson, un brano che mi fece conoscere anche un genio della musica moderna Luca Pitteri, grande musicista e amico che ne ha fatto un arrangiamento vocale unico.

Nel 2005 il mio primo viaggio umanitario in Africa, così, quasi da sprovveduto. Atterro in Ghana e lì – dopo aver composto inni, musiche e arrangiamenti e soprattutto dopo aver vissuto una missione umanitaria in cui continuo a prestare servizio – al mercato di Accra, la capitale, il giorno prima di partire per tornare in Italia, qualcuno mi dice “Sankofa, Sankofa!”. Sono rimasto attonito non potendo immaginare che sapessero mi piacesse quel brano.

Ma quel Sankofa era impresso in un braccialetto che volevano che io prendessi.

Non sapevo nel 2005 che il Sankofa fosse un uccello mitologico del Ghana, e soprattutto non potevo sapere che qualche anno dopo avrei fondato un gruppo che porta ancora oggi quel nome.

Così come non potevo sapere che nel 2006, l’anno dopo la missione, avrei fatto nascere un altro gruppo gospel che tuttora dirigo: il GAP, Gospel Always Positive di Como che come motto ha proprio “metti al servizio la tua voce”. Un gruppo di 70 volontari, con una band con musicisti strepitosi con cui in questi anni abbiamo fatto tantissimo per l’Africa e per tutte le situazioni dove la gioia è il vero dono, creando grazie alle persone che ci sostengono, Sogni & Segni d’Africa, per citare il nome del nostro ultimo disco.

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Carlo Rinaldi con un dei suoi cori durante un concerto.

Il Gospel è diventato per me vita, prima che musica. E solo ultimamente, lo confesso, Vangelo.

Ognuno ha e proviene da esperienze diverse, la mia non è partita dalla fede, ma dall’amore per l’arte e mai avrei potuto credere che lì dentro avrei trovato un messaggio ancora più alto e profondo.

Abbiamo suonato ovunque in Italia e all’estero, sostenuto cause importanti nelle carceri, ospedali, nei luoghi colpiti dal terremoto, in teatri prestigiosi, in Vaticano per il Papa ad Expo a Milano e in ogni vicolo o strada e nel 2014 ho deciso di fare di questo cammino anche un Workshop, chiamato “Gospel 4 Africa, per permettere a tutti, ma proprio a tutti di avvicinarsi a un Gospel che è accoglienza. È un modo per incontrare le persone nella loro armonia, e da lì, dall’armonia ho fatto e sto facendo formazione in progetti come l’Italian Gospel Choir, la nazionale gospel di cui sono vicedirettore dal 2012 e altre recenti attività in Italia e all’estero attraverso la condivisione di esperienze di incontro con bellissime realtà musicali e umane.

Questa della direzione di coro per me non una passione, è un desiderio feroce, non potrei vivere altrimenti. È il respiro che mi nutre e mi riconduce al presente, al qui e ora.

Ed è proprio nel presente che dobbiamo entrare in ascolto dell’altro e per l’altro. Questa è la mia missione come direttore di coro, ingegnere, professionista, uomo. E questa missione ho la fortuna di poterla condividere grazie all’incontro degli altri.

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