Il Coro degli afasici di Trieste: dove non può la parola, può il canto

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“Se puoi camminare, puoi danzare, se puoi parlare, puoi cantare”, dice un proverbio dello Zimbabwe. Niente di più vero: cantare è qualcosa di connaturato all’uomo e tutti abbiamo sperimentato fin da piccoli, nelle situazioni più diverse, quanto sia qualcosa di spontaneo. Proprio come parlare.

Ma se si fosse letteralmente persa la parola o, meglio, se un ictus se la fosse portata via? Come ci si racconta quando la più immediata forma di comunicazione viene bruscamente interrotta?

“Gli afasici – si legge nel sito dell’A.I.T.A., Associazioni Italiane Afasici – soffrono di disturbi del linguaggio causati da lesioni cerebrali (trombosi, emorragie, traumi cranici, tumori, encefaliti). Queste lesioni non alterano la loro intelligenza o la loro capacità di provare sentimenti, ma impediscono di utilizzare normalmente il linguaggio verbale. I disturbi afasici assumono forme diverse. In alcune persone, le parole diventano difficili da trovare: a volte non vengono, o vengono al momento sbagliato. In altre, le parole vengono fuori “storpiate”. In altre ancora, le parole sono relativamente semplici da trovare, ma non possono essere messe insieme in frasi grammaticalmente corrette. Vi sono persone in cui è compromessa la capacità di parlare, ed altre in cui è danneggiata la capacità di scrivere; analogamente, in alcuni casi è danneggiata la comprensione delle parole udite, in altri la comprensione delle parole lette.”

Qualcuno potrebbe pensare che questo equivalga ad una condanna al silenzio. Qualcuno che non ha mai avuto la fortuna di ascoltare il Coro degli afasici di Trieste. Noi abbiamo avuto l’occasione di farlo durante il Vocalmente A Cappella Festival, che si è tenuto quest’estate a Fossano (CN) e possiamo assicurarvi che sì, l’afasia può impedire di parlare, ma non certo di comunicare.

Il Coro degli afasici di Trieste nasce dieci anni fa, dalla collaborazione con A.L.I.Ce., Associazione per la lotta all’ictus cerebrale, come ci racconta la sua direttrice e musicoterapista Loredana Boito. All’interno della struttura di medicina riabilitativa degli “Ospedali Riuniti” di Trieste,  Loredana ha iniziato a seguire singolarmente i suoi pazienti per poi dare vita ad un gruppo che potesse comunicare attraverso il codice condiviso della canzone. “La musicoterapia – spiega –  contribuisce ad attivare canali diversi da quelli verbali che tutti comunemente utilizziamo. Si inizia chiedendo ai familiari del soggetto in cura un lavoro di anamnesi, ovvero di recupero di quei brani che hanno per il paziente un particolare riscontro emotivo. Queste cosiddette canzoni “dell’identità sonora” vengono poi condivise all’interno del gruppo riabilitativo: ogni paziente canta infatti i brani cari ad ognuno e si fa partecipe dell’importanza che questo momento ha per l’altro.”

Il Coro degli Afasici di Trieste durante le prove al Vocalmente A Cappella Festival

Il Coro degli Afasici di Trieste durante le prove al Vocalmente A Cappella Festival

E’ bene precisare però che la musicoterapia non fa miracoli: il processo riabilitativo permette di riacquistare l’impiego di alcuni termini, soprattutto quelli presenti nei brani che vengono cantati, ma difficilmente le persone afasiche recuperano del tutto l’uso del linguaggio verbale. Questo non rende però il lavoro di Loredana e dei suoi colleghi meno importante perché, come lei stessa sottolinea “E’ bellissimo vedere queste persone conquistarsi una seconda possibilità. Il momento più toccante è infatti quello in cui un nuovo elemento si aggiunge al Coro e riutilizza per la prima volta la sua voce, anche se in modo diverso. Si assiste ad una vera e propria rinascita, di cui tutti i coristi sono partecipi, tanto che non è raro vederli piangere di felicità, perché capiscono che grazie al canto possono di nuovo essere se stessi.”  I benefici che i coristi avvertono si moltiplicano così in modo esponenziale ed arrivano a contagiare altre persone che hanno vissuto il loro stesso dramma. E’ quanto accade per esempio quando, come in occasione del Vocalmente Festival, il Coro organizza degli workshop all’interno degli ospedali e ai coristi è data la possibilità di condividere con altre persone vittime di ictus la loro esperienza e di essere un segno potente di speranza.

“Per me non c’è cosa più commovente e appagante del vedere il canto farsi trait d’union tra una vita spezzata e una vita che ricomincia – continua Loredana – ed è per questo che continuiamo a portare avanti la nostra attività nonostante le difficoltà incontrate.” I tagli alla sanità infatti hanno colpito anche il lavoro di musicoterapia che si è riuscito a preservare solo grazie al sostegno dell’Associazione A.L.I.Ce. Trieste. Ad oggi si possono quindi continuare a fare progetti, ad organizzare i concerti natalizi che porteranno i coristi in giro per la città, a ideare workshop da realizzare all’interno degli ospedali e, da quest’anno, anche in una casa circondariale. Ovviamente poi al termine di ogni esibizione, come in tutti i cori che si rispettino, si finisce a festeggiare e a fare insieme il cosiddetto “rebechìn”, “spuntino” in friulano, durante il quale non mancano brindisi e risate.

L’esperienza del Coro di Trieste non può quindi che confermare quanto il canto sia parte integrante dell’uomo e come, proprio in virtù di questo, riesca a compensare il linguaggio verbale nell’azione comunicativa. La musicoterapia diventa quindi uno strumento preziosissimo che ci auguriamo possa essere presto valorizzato come merita anche a livello legislativo.

 

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