Possono Arabi e Israeliani cantare in un unico coro?

Posted by in Cantare insieme, Coro, Donne, Internazionale, Sociale

Ci sono alcuni temi che a noi di Koral sono particolarmente cari, tra questi quelli del canto come mezzo di costruzione di pace. Tra i conflitti armati, sicuramente quello arabo-israeliano lo sentiamo tra i più vicini e per un motivo fortemente personale che vogliamo condividere con voi tutti. Uno dei membri del team, Letizia, ha infatti trascorso il suo ultimo anno di studi proprio a Tel Aviv dove ha frequentato un Master in Mediazione e Risoluzione dei conflitti. I luoghi e i volti raccontati in questo articolo del quotidiano israeliano Haaretz (purtroppo accessibile solo agli abbonati) che abbiamo voluto tradurre, sono familiari. Giaffa, stupendo porto antico, è infatti il luogo dove più che in altre parti della città le minoranze religiose di incrociano e si mescolano dando vita a numerosissime iniziative di solidarietà e comunione. Solo per citare un esempio, accanto a una delle chiese cattoliche di Giaffa, dove si raduna una grandissima comunità filippina, giocano bambini di ogni religione in spazi messi a disposizione da Frati Francescani. Ci è sembrato quindi più che doveroso raccontare una di quelle che cerca di portare speranza proprio attraverso l’incredibile esperienza del canto di gruppo di cui tutti conosciamo il potere.

Buona lettura!

vista da Giaffa

Tel Aviv vista da Giaffa. Foto ricordo di Letizia, del team Koral.


Quando è arrivata la notizia, lo scorso mese, di alcuni accoltellamenti a Giaffa (quartiere sud di Tel Aviv), i membri dell’unico coro in Israele composto da Arabi e Ebrei hanno dovuto prendere una decisione: cancellare le prove o farle come di consueto? L’attacco terroristico in cui uno studente americano è stato ucciso e 10 persone sono state ferite è infatti avvenuto vicino alla spiaggia, non lontano dal luogo dove il coro si raduna per provare. Dopo un frenetico giro di telefonate si è deciso di tenere l’incontro settimanale, nonostante nessuno fosse dell’umore giusto per cantare.

“Ovviamente ci sentivamo tutti molto colpiti dall’accaduto – racconta Irit Aharoni, una delle coriste, psicologa clinica – ma allo stesso tempo il legame speciale che ci unisce ci ha dato la forza di andare avanti, per questo ci sembrava importante essere insieme quella sera.”

L’11 aprile il gruppo ha tenuto il suo primo concerto come coro indipendente dopo 8 anni trascorsi all’interno di uno dei centri della comunità di Giaffa. Il suo nome era Shirana (fusione tra le due parole con cui in Ebraico e in Arabo si indica “canzone”, rispettivamente “shir” e “rana”). La scelta di cambiare non è stata facile: il coro ha infatti rinunciato ai fondi pubblici per avere una maggiore libertà artistica. Anche il nome del coro ha preso parte a questo nuovo inizio, diventando semplicemente “Rana”.

I 20 membri dell’ ensemble vocale – 10 donne ebree e 10 arabe – vivono tutte a Giaffa, ma a parte questo e la loro passione per il canto, hanno davvero poco in comune. “L’unico posto dove puoi trovare un gruppo altrettanto variegato è la sala di aspetto di un ospedale – racconta Mika Dany, fondatrice e direttrice del coro – e posso anche affermare che non ci sono due donne qui che abbiamo votato lo stesso partito alle ultime elezioni! Ma quello che condividiamo è la convinzione che una coesistenza pacifica sia non solo desiderabile ma possibile e noi ne siamo la prova.”

Mika Dany

Mika Dany, fondatrice e direttrice del coro Rana. Foto: Tomer Appelbaum

Tra le coriste, che hanno un’età compresa tra i 30 e i 60 anni, ci sono arabe cristiane e musulmane, così come ebree praticanti e non. Una donna ha al collo una croce, un’altra la stella di Davide. La cantante più anziana del gruppo ha il viso incorniciato dall’hijab. La maggior parte non porta alcun segno esteriore del proprio credo. Anche le professioni sono tra le più disparate: psicologa clinica, grafica, parrucchiera, assistente sociale, segretaria, insegnante. Nessuna di loro è una musicista professionista.

Dany ha avuto l’idea di fondare il coro quando si è trasferita dal centro di Tel Aviv a Giaffa. “Ho subito capito – racconta – che avevo l’opportunità di fare qualcosa di più significativo che prendere parte alle manifestazioni per la pace o lamentarmi tutto il tempo.”
La sua esperienza come musicista l’aveva spinta a pensare che un coro sarebbe stata il contesto migliore in cui lavorare sulla coesistenza. “Quando canti in un gruppo – spiega – devi prestare attenzione a tutti quelli che ti circondano per essere certo che stai cantando in sincrono, questo sviluppa una particolare capacità di ascolto e genera uno spirito di unità difficilmente raggiungibile con il solo parlarsi.”

Il repertorio del coro comprende vecchie canzoni in Arabo, Ebraico, Yemenita, Persiano, Greco, cui si è recentemente unito un popolare brano Yiddish. Fino ad ora, però, la loro interpretazione migliore è quella della canzone con cui si conclude la cena di Pasqua, “Had Gadya”. Dany nel riadattarla si è ispirata alla versione moderna scritta dalla cantautrice Chava Alberstein, cui ha aggiunto la traduzione in Arabo di alcuni versi.

Nel 1989, quando Alberstein elaborò la sua versione del brano, aggiunse una strofa che esprimeva la frustrazione di molti in Israele rispetto al tema della pace:

“Perché stai cantando questa canzone tradizionale?
Non è ancora primavera e la Pasqua non è arrivata.
Cos’è cambiato per te? Cosa è cambiato?
Io sono cambiata quest’anno.

Tutte  le altre volte ho fatto quattro domande*, ma stasera voglio farne una in più:
Quanto a lungo durerà questo circolo vizioso?
Quanto a lungo durerà questo circolo di violenza?”

*Durante la cena di Pasqua è tradizione che il più giovane rivolga al più anziano quattro domande sul significato della Pasqua.

Nella versione cantata dal coro Rana, è Sihrab Abu-Lassan, una donna araba, che canta questa parte in Ebraico. Negli ultimi anni il gruppo ha cantato questo brano – che Dany chiama “il nostro inno” – al termine del Jewish-Arab Memorial Day che è diventato un evento annuale.
Abu-Lassan è una dei primi membri del coro, come sua sorella Badria Bouchari e sua madre Alia Hatab, la donna con l’hijab.  “Non riceviamo molto sostegno dalla comunità araba – lamenta Abu-Lassan, grafica di professione attualmente impegnata a studiare animazione sperando di poter dare una svolta alla sua carriera.” Questa mancanza di entusiasmo, spiega sua madre, non è solo dovuta al fatto che molti Arabi rifiutano di distendere le relazioni con gli Ebrei fintanto che l’occupazione dei territori da parte dei coloni perdura, ma molti musulmani credo anche che sia un atto sacrilego per una donna cantare in pubblico. Ma Hatab e le sue figlie non si lasciano influenzare.

Le coriste Sihrab Abu-Lassan, Alia Hatab and Badria Bouchari

Le coriste Sihrab Abu-Lassan, Alia Hatab and Badria Bouchari. Foto:Tomer Appelbaum.

“Appena ho saputo dal centro per la comunità locale che si stava cercando di mettere su un coro ho deciso che avrei voluto partecipare” – afferma la donna, 66 anni, madre di cinque figli, educatrice in pensione con un diploma in psicologia educativa, da sempre ammirata da amici e parenti per la sua bella voce. “Cantare insieme è qualcosa che si è sempre fatto nella nostra famiglia – aggiunge Bouchari, la maggiore delle sue due figlie che insegna Arabo nella scuola bilingue di Giaffa – I ricordi più belli della mia infanzia sono legati ai viaggi che si facevano insieme di sabato, cantando per tutto il tempo del tragitto in auto.”

Per Miki Oren, una donna esile con un grande sorriso, l’idea di unirsi al coro femminile è stata chiara fin da subito, e non solo perché canta da quando è piccolissima: “Mio marito è un arabo cristiano, quindi, facendo parte di una coppia mista, non c’era niente di più naturale per me di far parte di un coro misto!”
Aharoni, psicologa, cantava in diversi gruppi quando il coro Rana si è formato. “E’ stata una scelta difficile – racconta – ma alla fine ho deciso di unirmi a questo nuovo coro perché il messaggio che voleva trasmettere mi stava troppo a cuore.”  Quando aveva 11 anni, il padre di Aharoni è rimasto ucciso nella Guerra dello Yom Kippur.  Il dolore sofferto l’ha portata negli anni a diventare un’attivista pacifista. Oltre a far parte del coro Rana, Aharoni fa infatti parte del Parents Circle Families Forum, un’organizzazione di famiglie arabe e ebree che hanno perso i loro cari nella guerra, nata con lo scopo di sostenere gli sforzi di pace.
Aharoni aggiunge che le due ore e mezzo passate ogni settimana a provare, chiacchierare e mangiare insieme alle altre coriste sono per lei “sacre”.
Questa settimana, in cui si tiene l’ultima prova prima del concerto di inizio, Hatab ha preparato una torta salata speciale, fatta di verdure, che condivide con le altre coriste mentre si avviano verso la sala prove.

Prove del coro Rana

Prove del coro Rana a Giaffa. Foto: Tomer Appelbaum.

Nonostante tutte cerchino di astenersi dalla politica, racconta Dany, spesso è inevitabile. “Quando il coro è nato, 8 anni fa – racconta – non avevo idea del ruolo che la politica avrebbe giocato nella dinamica del nostro gruppo.” Ma quasi subito Dany ha dovuto affrontare le prime sfide: come iniziare la prima prova, con una canzone in Arabo o in Ebraico? “Alla fine ho optato per un brano africano.”
Il loro impegno di convivenza pacifica è già sopravvissuto a due scontri tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza, ma non senza attraversare momenti delicati.
“Di solito, alla fine dell’estate, organizziamo una festa per la conclusione dell’anno. Nel 2014 – ricorda – è venuta a coincidere con lo svolgersi dell’Operazione Margine di protezione (nome in codice della campagna militare iniziata l’8 luglio 2014 dalle Forze di Difesa Israeliane contro i guerriglieri palestinesi di Hamas ed altri gruppi nella Striscia di Gaza). Noi, donne ebree e arabe, ci siamo ritrovate nel giardino di uno dei nostri membri mentre i razzi volavano sopra le nostre teste.”

Idan Toledano

Idan Toledano, direttore artistico e accompagnatore del coro Rana. Foto: Tomer Appelbaum.

Il direttore artistico e accompagnatore Idan Toledano è l’unico maschio del gruppo. “C’è molta energia femminile a circondarmi e capita – ammette – che io mi senta fuori posto.” Ma l’unica preoccupazione è quella di permettere al coro di reggersi sulle proprie gambe: “Quest’anno, il nostro primo anno da coro indipendente, sarà un importante test di sopravvivenza.” Per garantire al gruppo di poter sussistere sta infatti applicando ad alcuni bandi e provando ad assicurarsi sostegni futuri.
“Il mio sogno – rivela – è quello di portare il coro all’estero. Sarebbe davvero qualcosa di straordinario.”

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