Casa Verdi : dove il canto non ha età
Nel carteggio con Giulio Monteverde, poco prima di morire, Verdi la definisce una delle sue opere migliori. E dato che il Maestro di opere se ne intendeva, possiamo solo immaginare quanto ci tenesse al progetto, iniziato nel 1896, di realizzare nel cuore di Milano una residenza dove “accogliere i vecchi artisti di canto non favoriti dalla fortuna, o che non possedettero da giovani la virtù del risparmio.“ I primi ospiti si stabilirono a Casa Verdi il 10 ottobre 1902, e da allora un migliaio di artisti sono passati tra le sue maestose boiseries. Il giorno migliore per visitarla è sicuramente il mercoledì, quando gli ospiti si riuniscono per l’arrivo di Armando Ariostini, baritono di gran fama, che dedica parte del suo tempo libero al loro intrattenimento. Dopo la merenda e prima del consueto momento degli indovinelli, Stefano Consolini, figlio del noto Giorgio Consolini, intona alcune arie, per la maggior parte tratte da operette, per il suo pubblico di intenditori. Tra loro c’è chi si commuove, ancora.
“Sa, io ero stonato da bambino” – si confida Giuseppe Catena, 88 anni, tenore – “è stata l’Aida ad accendere in me il desiderio di cantare. I primi passi li ho mossi al Teatro Bellini di Catania, la mia città natale. Lì ho iniziato a studiare seriamente da solista, pur continuando a cantare nel coro. Da allora non ho più smesso e anzi pochi mesi fa ho registrato alcune arie di Traviata, spinto da mia moglie e grazie ai giovani studenti che alloggiano qui a Casa Verdi che mi danno una mano a ripassare.” Sorridente si avvicina al pianoforte e accenna qualche nota per un pubblico di affezionati: gli occhi di sua moglie sono tutti per lui. Gli ospiti nel frattempo si dirigono lentamente verso l’ingresso della Casa da cui raggiungeranno la chiesa dove si terrà una Messa in occasione dell’anniversario di morte della Callas. Una signora ribadisce alla vicina di poltrona che lei in ogni caso, anche dopo quarant’anni, preferisce la Tebaldi, e non si trattiene da qualche riferimento tagliente, segno che il canto e la musica non sono certo gli unici responsabili di tanta vivacità.
Non molto lontano un’altra ospite decide di attardarsi per mostrare ad Armando alcune foto che la ritraggono con Mario del Monaco e che le piacerebbe portare alla commemorazione del tenore che vedrà coinvolti di lì a pochi giorni gli abitanti della Casa. Armando da galantuomo, nonché raffinato conoscitore dei piccoli vezzi delle dive, la riempie di complimenti. L’esile signora, su cui spiccano dei bellissimi occhi verdi, ha con sé anche delle cartoline da lei autografate dove la si vede nei panni di Amneris, rivale di Aida. “187 volte ho vestito gli abiti di Amneris in 48 anni di carriera, ho con lei un rapporto speciale.” Nonostante sia arrivata in Italia giovanissima, a soli 23 anni, l’accento tradisce ancora la sua origine cilena. Decide quindi di accomodarsi, pur rischiando di far tardi alla Messa, e di raccontarmi qualcosa di della sua storia.
Chissà, forse anche lei preferiva la Tebaldi. “Il canto mi ha salvata tante volte, la prima quando avevo solo 19 anni e una tubercolosi polmonare mi aveva costretta in ospedale per tanto tempo. Solo il canto mi ha dato la forza necessaria per rimettermi in piedi. Poi, più tardi, il canto è tornato a ridarmi sostegno dopo la perdita di mio marito quando un brutto esaurimento nervoso mi ha portata ad abbandonare l’Accademia. Il canto è sollievo, è una cura che dura tutta una vita.” Mi porge le sue foto e mi invita a fotografarle a mia volta, si vede che ne è orgogliosa, soprattutto perché quando parla della scena, dei costumi, dell’amore del pubblico usa sempre il tempo presente. La sala nel frattempo si è svuotata e alla signora Didier non rimane che seguire i suoi colleghi. “In ogni caso, signorina, – si congeda – se vuole saperne di più su di me mi trova su Facebook”.
Gli ospiti di Casa Verdi non guardano al canto e alla musica come a elisir di giovinezza, capaci di mantenerli uguali a quelli di un tempo. Non nascondono la lucida consapevolezza che i palchi che si trovano a calcare sono cambiati, che i sipari si aprono su un pubblico diverso. Ciò che rimane è il desiderio di comunicare: cantare equivale a donarsi, in una continua ricerca di relazione. Si canta sempre per qualcun’altro e tra i regali più grandi che la musica ha fatto agli “illustri ospiti” di Casa Verdi è la certezza di rimanere ascoltati.
Letizia