Liberi di cantare
Come già accennato nel precedente post, vogliamo dare seguito all’intervista fatta a Maria Teresa Tramontin raccontando la sua esperienza di direttrice del Coro amatoriale del Reparto di Trattamento Avanzato “La Nave” della Casa Circondariale di San Vittore (Milano).
Come e quando nasce l’idea di portare il canto corale in carcere?
Il progetto è stato pensato dal professor Ettore Napoli, del Conservatorio di Milano, e dalla Dott.ssa Ambrosoli, moglie dell’Avvocato Giorgio Ambrosoli, con cui mi sono trovata a collaborare sempre all’interno della cornice de LaVerdi. L’esperienza musicale fatta fino a quel momento dai carcerati era totalmente passiva, di puro ascolto e quindi decisamente poco coinvolgente per loro. Si è così pensato ad un’attività che potesse renderli partecipi, toccarli in prima persona: la scelta del coro è stata quindi naturale conseguenza, data la sua dimensione multidimensionale e il suo potenziale comunicativo. Abbiamo cominciato dalla Casa circondariale di San Vittore, ma vincoli burocratici e la presenza di altre attività didattiche, hanno costituito un ostacolo tale da convincerci a percorrere una nuova strada, precisamente quella del Carcere di Bollate, che nel frattempo aveva richiesto un nostro intervento. Di lì a poco però l’indulto ha fatto sì che rimanessimo senza coristi. Il progetto è stato quindi recepito dalla ASL di Milano che ci ha di nuovo chiamati a San Vittore ma nel Reparto Speciale “La Nave”, dedicato alla cura e il recupero dei detenuti tossicodipendenti. E’ iniziato così, ormai 10 anni fa, il mio percorso come direttrice che nel frattempo si è anche arricchito di un diploma in musicoterapia con specializzazione in criminologia, conseguito all’interno del reparto.
Come si svolge l’attività corale con i detenuti?
Il lavoro che svolgo con i detenuti è innanzitutto musicoterapico, anche se poi ogni anno facciamo almeno due concerti, per Natale e in estate, quindi non manca di certo l’impegno più strettamente vocale. Lo scopo principale è quello di portare benessere e serenità alle persone, per questo, a differenza delle altre attività che solitamente si svolgono dentro il carcere e che contribuiscono a dare un parere positivo o negativo in termini giudiziari al detenuto, voglio che si sentano liberi di esprimersi, liberi da giudizio. La musica, come diceva Platone, mette le ali alla mente ed è proprio questo che cerco di fare, di portarli fuori dalla loro condizione di reclusi. Attualmente lavoro con circa 30-35 coristi, ma il numero è variabile dato che San Vittore non è un carcere stanziale ma di passaggio, per persone in attesa di giudizio. Ogni volta ci sono nuovi ingressi e quindi spesso bisogna ricominciare tutto il lavoro da capo. Ammetto che questo all’inizio mi pesava, ma adesso invece riesco a vederla come un’opportunità, soprattutto per me, come direttrice, per sperimentare nuovi metodi di insegnamento. Sicuramente è un antidoto alla noia!
Quali difficoltà ha incontrato in questo percorso?
La prima realtà in cui mi sono imbattuta è sicuramente quella della mancanza del rispetto delle regole dovuta alle precedenti esperienze di vita dei detenuti. La musica in questo senso è molto utile poiché insegna la disciplina, in tutte le sue accezioni: è ascolto, tolleranza, costanza, presenza. Ed è proprio dall’educazione a questi punti chiave che è partito il mio lavoro in cui alterno l’imposizione di rispetto e rigore alla dolcezza e tenerezza femminili. Ne deriva un carisma che mi permette di coinvolgerli e farli sentire liberi anche di scherzare, pur nei nostri diversi ruoli. Sicuramente non è stato per me banale né scontato arrivare a capire come approcciarmi, la realtà carceraria mi era del tutto sconosciuta e solo grazie all’esperienza e allo studio ho trovato il giusto equilibrio.
Quale beneficio, legato all’attività corale, osserva maggiormente nei detenuti?
In primo luogo la tranquillità, soprattutto mentale, derivata non solo dal fatto di svolgere un’attività di svago ma anche dalla migliore ossigenazione che si acquisisce con gli esercizi di respirazione e di postura. Questo, in particolar modo per i tossicodipendenti, è fondamentale. Poi sicuramente c’è l’aspetto sociale, di interazione con gli altri detenuti. Tutti sono infatti spinti a collaborare e a mettere a disposizione dell’altro le proprie capacità, che si tratti dell’essere più intonato o di una migliore conoscenza dell’inglese. Per i detenuti non è scontato, soprattutto quando la dipendenza acuisce la chiusura in se stessi. Mettersi insieme, eseguire un brano che piace al compagno, aprirsi, confidarsi : sono tutte piccole conquiste che solo la musica permette di ottenere. Per questo la soddisfazione più grande è sapere che, finite le prove, attraversando i pesanti corridoi, li si può ancora sentire cantare, insieme.