Perché cantare sul posto di lavoro fa bene a te e alla tua azienda
Sono le 19 e i tavoli sono stati spostati nella mensa di uno degli uffici del centro di Londra. Un pianoforte è stato trasportato di fianco al distributore automatico e le sedie sono state predisposte a semicerchio. Un gruppo di 30 persone, più donne che uomini, con una buona rappresentanza di giovani, è impegnato a togliersi i vari strati con cui fino a poco prima si è protetto dal freddo e a riscaldare la voce.
I cantanti presenti sono parte del coro aziendale John Lewis, uno dei maggiori in Gran Bretagna. La direzione della famosa catena di negozi ha incentivato, in modo piuttosto inusuale, i suoi dipendenti a prender parte in attività musicali, teatrali o di altro tipo fin dagli anni ’20, ma di recente tante realtà hanno aderito alla stessa iniziativa: istituzioni finanziarie, studi legali, enti per i servizi pubblici, ospedali, associazioni di beneficenza, vigili del fuoco.
Tra i cantanti seguiti da Manvinder Rattan, direttore del coro di John Lewis, c’è Natalie Vesty, 28 anni, capo dell’ufficio che si occupa dell’acquisto di posate: “Ho fatto parte di vari cori da quando ho 8 anni” – dice mentre alcuni ritardatari arrivano dagli uffici a sud est della città – ma è sempre qualcosa che ho fatto separatamente dal lavoro. Il fatto di poterlo fare qui è davvero fantastico! Mi è stata perfino data l’opportunità di dirigere, cosa che sono convinta abbia migliorato le mie capacità di leadership anche sul lavoro. Le capacità che uno apprende in un coro sono infatti perfettamente trasferibili in altri contesti.”
Natalie è una tipica espressione di quella nuova generazione che sempre più spesso si unisce ai cori nati sul posto di lavoro, un trend ulteriormente testimoniato dalla sesta edizione della competizione annuale Office Choir of the Year, di recente svoltasi a Londra. I finalisti, i cori di Channel 4, Deloitte e The Telegraph si sono scontrati con il coro di Citigroup, poi risultato vincitore.
Ci sono sicuramente altre attività, considerate più tradizionali, per aumentare la coesione di un team di lavoro – sport, corsi, iniziative di beneficenza – ma alcune evidenze scientifiche hanno dimostrato come la musica abbia in tal senso un effetto particolarmente efficace. Sono infatti stati coinvolti in una ricerca condotta dal Dipartimento di Psicologia Sperimentare dell’Università di Oxford, pubblicata lo scorso ottobre, diversi gruppi di adulti impegnati in attività educative per un periodo di 7 mesi. Alcuni praticavano canto, altri frequentavano corsi di scrittura creativa e altre attività manuali. E’ stato rilevato come i coristi facessero gruppo con molta più facilità.
“La differenza tra chi cantava e chi no è stata evidente fin da subito” – afferma Eiluned Pearce, che ha diretto la ricerca – “Durante il primo mese abbiamo notato come le persone iscritte alla classe di canto sviluppassero, nel corso di una sola lezione, una vicinanza reciproca di molto maggiore rispetto a quella mostrata dalle persone iscritte ad altro tipo di corsi. Cantare insieme aiuta molto di più a rompere il ghiaccio.”
La stessa idea è portata avanti da Tessa Marchington, capo del progetto Music in Offices. “Ci sono molti studi che dimostrano come cantare rilasci sostanze chimiche, come l’endorfina e la serotonina, connesse con il sentimento di felicità e fiducia, o la dopamina, che influenza la memoria” – afferma. “Nel 2007, uno studio dell’Università dell’Ontario, Canada, è persino arrivato a collegare l’attività canora con la produzione di ossitocina, altrimenti detto “l’ormone dell’amore”.
Apparentemente però i benefici non riguardano solo l’aspetto morale: anche i risultati economici dell’azienda possono infatti trarne grande giovamento.
“Negli ultimi anni abbiamo visto come i cori hanno assunto un ruolo chiave nell’ambiente di lavoro di molte aziende” – continua Marchinton. “Penso che molti vi vedano anche potenziali benefici per i loro affari.”
Tessa ha fondato la sua organizzazione nove anni fa, colpita dal contrasto che vedeva tra la sua routine di dottoranda alla Royal Academy of Music e quella di suo fratello, in un grande studio legale della City. “Le mie giornate – spiega – erano tutte musica, ispirazione, calma e libertà. Le sue, stress e sacrifici. Così mi sono chiesta se fosse possibile utilizzare parte di quello che vivevo per allentare la pressione cui lui e i suoi colleghi erano quotidianamente sottoposti. Fortunatamente il suo studio ha subito appoggiato l’idea.”
La musica all’interno di un contesto di lavoro può anche funzionare da “livella”, soprattutto in contesti che, nonostante le migliori intenzioni, tendono ad essere molto gerarchici, sottolinea Rattan. “Il miglior esempio che posso fare in questo senso – continua – riguarda una delle orchestre che abbiamo creato. Un ragazzo di 18 anni con contratto part time, proveniente da uno dei nostri uffici in Oxford Street, suona come clarinetto principale mentre il direttore generale, Peter Jones, della sezione di Chelsea di John Lewis, gli siede accanto come secondo clarinetto, dato che il ragazzo suona meglio di lui. Devono collaborare per far sì che la sezione dei clarinetti rimanga compatta, e riescono a farlo volentieri perché è questo che suonare e cantare insieme rende capaci di fare.”
Articolo liberamente tradotto e riadattato dall’originale qui reperibile.